LUNARIO; SBIRO E DUE BIZZARRE FRASI
Lunario in padovano ha un significato un po' diverso dall'italiano. In lingua «lunario» è una specie di almanacco popolare che indica sì i giorni e i mesi, ma anche altre notiziole, profezie, ecc.
Lunario, da noi, è invece il calendario (parola non usata in dialetto) cioè quello che indica soltanto le date e· anche le fasi della luna e i nomi dei santi. Mentre lunario è ricordo del calcolo del tempo fatto sulle fasi della luna (così facevano i greci), il calendario è prettamente latino (anno solare) e deriva il suo nome dal vocabolo latino, che indicava costantemente il primo giorno dei .mese. Tant'è vero che si dice; «rimandare una cosa alle calende greche» (cioè la cosa non si farà mai) perchè i greci non avevano le Calende. « Sbiro» si dice di un ragazzo eccezionalmente vivace e un po' ribelle. «El xe unsbiro »
Evidentemente non è altro. che lo a sbirro», basso poliziotto delle signorie, repubbliche, regni d'una volta, vocabolo che si è fatto raro con lo sparire di quei brutti figuri, ma è rimasto vivo per quella tendenza conservatrice, direi fozzilizzante, che hanno i linguaggi. Lo sbirro non era altro che il « birro Il (che viene dal basso latino birrus). Quella II s Il' si è forse attaccata davanti alla parola per darle un senso spregiativo, una specie di « sputo Il premesso. Lo stesso, per esempio, avvenne con i. vuotare Il o a votare Il (forse da « vitùitus Il, una specie di « viduus », vedovo) che nel Veneto è a svodàr Il per dare maggior forza alla parola. (Anche in italiano, del resto, i! vocabolo «svotare » e a svuotare II è venuto di moda, credo per analoga ragione). La mala fama degli sbirri, l'odio che aveva per essi il popolo si spiega con molte ragioni. Anzitutto la malfidenza, l'avversione che l'uomo ha per i! a potere Il, per i! a governo Il qualunque esso sia. Lo stato veramente -ci proibisce questo e quello, ci toglie una cosa o l'altra (le tasse, imposte, bolli, ecc.) e in caso di guerra perfino la vita. Tuttavia ci dà anche molto, ma l'uomo è più sensibile al male che al bene con quel suo squilibrio di giudizio che rende storte molte sue opinioni.
Noi italiani poi, per tutti i malgoverni avuti dalle invasioni barbariche fino al ... (metta la data il lettore) siamo ancora più avversi allo stato di quanto lo siano altri popoli meno infelici (pochi a dir i! vero).
Dato questo stato d'animo della popolazione soltanto i· peggiori sceglievano quella trista carriera e colla brutalità, gli arbitri, le spogliazioni aumentavano ancora l'odio che li colpiva. E un po' tendenza generale di chi ha qualche carica di compiere abusi di potere, piccoli per lo più, ma sempre abusi. Questo è vero anche oggi e non occorre darne esempi, perché tutti i cittadini possono fornirne (natl.\ralmente di abusi subiti, non di quelli fatti subire ad altri).
«Polenta, polentà panza piena e mal magnà Il. (Polenta, polentà pancia piena e mal mangiato).
E' una vecchia frase, già da me ricordata, che si usa ancora, ma per scherzo, oggi. Essa nacque certamente in quei tempi, non tanto lontani, in cui il misero contadino non aveva altro cibo che la polenta e magari senza sale.
Credevo una volta e lo credono ancora molti che la polenta senza sale sia la causa della pellagra (malattia cutanea, digestiva e nervosa da deficienza di certe vitamine .e di amminoacidi). Invece l'alimentazione quasi esclusiva di polenta dà origine sì alla malattia, ma i! sale non c'entra, come in. vece affermai erroneamente in un altro Zibaldone (mi corresse gentilmente un medico di Bologna che aveva studiato a Padova).
Una settantina d'anni fa, la pellagra infieriva in provincia di Padova (oggi è totalmente sparita). Ecco perché .il popolo inventò questa frase che sa di riso e di pianto insieme. (Le case del contadino padovano erano capanne coperte di paglia, col pavimento di nuda terra battuta).
Mi ricorda uno di quei potenti, cinici versi che il grande lirico francese Villon (secolo quindicesimo) delinquente miserabile e cantore dei miserabili, pone in fine della XXV strofa del suo «Testament » : «Car la danse vient de la panse ». Perché la danza vien dalla panza.
Mi piace proprio tradurre «panza », italiano antico e padovano moderno). Solo chi ha la a panza» piena di buoni cibi vuole e può godere.
Altra bizzarra frase ancora ben viva nel nostro dialetto. «Te farò vedare mi ~he ora che xe ». (Ti farò invece vedere io che ora è). E'una frase usata come minaccia. Di per sé incomprensibile, anzi assurda. Dimostra invece ancora una volta l'ostinata potenza conservatrice del linguaggio: la situazione storica cambia" i ,costumi cambiano, la parola o la frase resta come un vero fossile.
Questa certamente deriva da Venezia. La Repubblica veneta usava la pena di morte per decapitazione {morti famosi: il doge Marin Faliero, il conte di Carmagnola, il povero Fornaretto). L'esecuzione avveniva di solito fra le due colonne di marmo che sono nella Piazzetta di San Marco, fra il Palazzo Ducale e la Biblioteca Marciana. Su una c'è il leone di San Marco, sull'altra e/è San Teodoro, primo protettore di Venezia (il popolo dice: Marco e T6daro). Alcuni affermano che non è San Teodoro, ma San Giorgio (infatti ha la lancia e una specie di coccodrillo sotto i piedi, che potrebbe bene essere un drago). Comunque sia, fra Marco e T6daro s'innalzava il palco del boia in modo tale che il condannato voltasse le spalle alla laguna (forse perché il popolo vedesse meglio e così crescesse il supposto potere deterrente della pena). Di fronte al condannato c'era la bella torre dell'orologio creata dal grande Coducci del secolo XV. L'ultima cosa che il morituro vedeva prima di essere piegato sullo zoccolo di legno col capo in giù sporgente, in modo che la scure del boia lo potesse troncare, era l'ora sul!'orologio di fronte. La frase adesso è chiarissima: «Vorrei farti tagliare la testa», che non è minaccia da poco. Col tempo si è attenuata diventando quasi scherzosa, ma conserva inconsciamente un gruppo di ricordi: dominio di Venezia a Padova, pena di morte, suo luogo e modo di esecuzione. Dimostra pure che la filologia talvolta oltre che istruttiva è anche divertente.
Ora aggiungo un paradosso a cui tengo (il lettore che nii conosce mi perdonerà). Credo poco al valore di freno della pena di morte (il buon diavolo ne è spaventato senza averne bisogno, ma il vero mostro sanguinario se ne infischia, anzi diventa forse ancora più feroce).
D'ogni modo non si dovrebbe mai insegnare e peggio codificare che esiste una «giusta morte violenta ». Uccidere mai, per nessuna ragione;
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